Le nostre dita
Le nostre dita
le uniche dita del mondo
fanno orbite e
si uniscono
girano in largo e poi
si stringono
in cerchio danzano
arretrano ed avanzano
si ritraggono in un brivido
ma inevitabilmente tornano
a di nuovo avvolgersi.
Le nostre dita
sono le nostre amanti
reciproche
indistinte
pallide
vengono e vanno
cercano e danno
e alfine si serrano
quando il sonno le vince
e così si destano, sorprese,
al sorgere del sole
ed è così doloroso districarle ancora.
Una piccola valigia
Bisognerebbe fuggire via;
con una sola, piccola valigia
e partire per andar lontano:
accoccolato sotto un vaso
all’ombra del pomeriggio
o fuori d’una chiesa abbandonata
dove cantano interminabili cicale;
sotto la chioma appena mossa del castagno
nel fitto di una macchia
tra il verde e il blu marino
delle muffe.
La solitudine come salvazione
dalle strade mai una volta in ombra
e le facce dei palazzi gialli
(ogni piano un giallo differente)
dalle verande abusive e il canto delle radio
dentro macchine mai abbastanza chiuse.
La solitudine
dall’umanità discinta, in canottiera
dai suoi cornetti al burro a colazione
e il latte che borboglia nelle pance.
Da questo suo volgare parapiglia,
dalla finta meraviglia
che suscitano falsi catechisti.
Dagli amori tristi,
dai doveri che nessuno paga
e infine, dalla vita quotidiana.
Mi dispiace
Mi dispiace vedere che invecchi
percepire che al caldo ti affatichi
e scoprire che le cose che amavamo
non sono più le stesse
ma hanno più crepe, tagli, dissonanze.
E con te invecchio a mia volta,
cercando più spesso refrigeri,
giustificando soventi fermate
all’ombra dei rami dei gelsi
che a giugno mostrano caduco il loro bel fiore.
Ma non importa se sono arrivato a tal punto!
Fino a tal punto abbiamo vissuto!
Il tuo volto si muta pian piano
ma in esso, talvolta, si scoprono luci
d’un tempo passato
e sotto la scorza di pelle più dura
ci sono i tuoi occhi
sereni e viventi
come torce di pace
puri e gentili
ma di giovani ire ancora capaci.
(365 poesie) – Foto e testo miei
Cuore di legno
Tu dici che ho il cuore di legno
e per te, questo è un difetto.
Pensi che il legno sia morto
e che non viva grazie alla linfa delle sue radici.
Credi che d’inverno perda vita
e non vedi che dalle foglie cadute già sporgono a febbraio nuovi bocci.
Purtroppo la verità è un’altra.
Il mio cuore è muscolo involontario, sangue e vene
e palpita strenuamente
ma un bel giorno
un giorno di festa per alcuni
smetterà di pulsare ed io morrò.
E’ così che van le cose veramente.
Quanto si è saggi
Si correva a scapicollo
sapendo di poter anche morir ridendo
giù dalle Piagge
con le biciclette.
Avevamo l’anima sbucciata
sopra le cortecce e i sassi secchi
di quella rorida terra lavica e profonda.
Ed era nel vociare nostro esagerato
Il divertito distacco delle gemme
com’era prezìosa la nostra giovinezza!
E come tutti non lo sapevamo!
E’ come è lontano tutto questo adesso…
ora che lo sappiamo.
La nostra vita è un continuato stare
tra le cose belle, senza saperlo affatto
e poi, lontani gli anni,
accorgersi che è stato e non è più!
Non sono stato mai capace invero,
di vivere la gioia in quel momento
piuttosto nel tormento
di un perenne inseguire ciò che avevo.
Come sono saggio ora che ho perso, vero?
Come si è saggi quando non è il momento.
Non mi manca l’inverno
Non mi manca l’inverno
mentre prima l’amavo
ed era il rifugio
della mia giovinezza.
Nelle grigie stanze
dei vetri bagnati
gli spifferi aperti
da obliate finestre.
La merda dei cani
non la si vedeva
le cose scordate
coperte da un velo
il canto distratto
di una massaia
che tra il dire e il fare
in mezzo c’è il mare
e si serba la pianta
dal freddo che avanza
e si scaldan gli amanti
tra splendide coltri.
Non mi manca l’inverno
stagione che amavo
coi suoi sordi silenzi
e la neve cadente
i tetti celati
il loro sfasciume,
tenuto nascosto
da bianca innocenza.
Non ci manca l’inverno
ora che abbiamo
le mani gelate, bianche, rapprese.
Ora che abbiamo poche difese
e la voce rauca,
la forza mancante
e vorremmo che il Sole
ci riscaldasse.
L’alba
Mi accorgo dell’alba
dal bisticciare dei corvi
dalla sirena del vento
dal turbinoso tormento
che fa il fumo estorto dai comignoli
soffiato dalle ceneri morenti
dal parlare delle genti
che sperano nel giorno
che sperano diverso
che agognano di vivere
dunque, mi accorgo di quest’alba
dal rombo lontano di corriere
che trasportano chi lavora ancora
da fischio di chi ancora s’innamora
del vento fresco della primavera
che una volta, ve lo giuro, c’era.
E sento l’alba
dall’avversione a restare a letto
dal rivendicare l’esistenza
dall’esser vero
dall’essere ancora umano
dal vento strano
che fa prima che piova
da un’altra prova
che ci dà la vita.
