Un’altra moda

Unennesimamoda: le citazioni di Pasolini. Pasolini, se lo sapesse, si incazzerebbe come un licaone! Non vorrebbe mai e poi mai essere “citato”. Quando citi un personaggio fino alla nausea è il momento che ci si dimentica della sua esistenza: in qualche modo si “istituzionalizza” e questo, Pasolini non lo avrebbe mai voluto.
Avrebbe invece voluto, e fortemente, che la gente avesse un suo metro di giudizio. Che non si fondasse assolutamente sugli opinionisti di Talk Shows imbarazzanti ma che riuscisse in qualche modo in base alla sua cultura, in base alla sua esperienza, a farsi una idea da sola: senza l’ausilio di TG dementi, di agenzie di stampa zeppe di notizie farlocche…
Avrebbe voluto che ognuno di noi fosse in grado di capire da chi siamo veramente invasi e da quanto. Ve lo dico io: da settant’anni siamo invasi dallo stile di vita, dal consumismo, dalla tracotanza senza confini, dalla volgarità e dalle agenzie bancarie americane. Dal dopoguerra in poi non abbiamo fatto alto che pensare, agire, consumare, persino dormire, come gli americani (qualcuno ha in casa quell’oggetto dell’orrore che è il materasso ad acqua).
Siamo accerchiati dalle loro enormi bistecche, dai loro barbecue così imbarazzanti, dai loro programmi spazzatura: dai talent…
e ci vengono a dire che siamo “eccessivamente dipendenti dalla Russia”. Così cafonamente incazzati con la Russia da vietare concerti e spettacoli di musicisti russi, compositori russi…
Ma che vergogna!
Io vorrei ricordare solo chi, in così in poco tempo, ha sterminato una intera popolazione per prenderne il posto e ha usato (unico esempio nel genere umano) la bomba atomica.
E vorrei ricordare che nel conflitto in Vietnam “nel solo mese di gennaio del 1969, vennero bombardati villaggi in cui abitavano 3.300.000 vietnamiti secondo la tattica del fuoco libero.” (https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/vietnam-usa-libro-nero/)
Forse Pasolini avrebbe voluto, piuttosto che essere citato, sapere che possediamo ancora un metro di giudizio.
Senza dimenticare le vittime del tetro comunismo sovietico, naturalmente.

Tritoeritrito

Sandro Amici

Oh, datemi un punto da cui fuggire: un buco, un pertugio, un varco.
Io non fuggirei, credo. Sono così felice della mia galera! In fin dei conti l’ho costruita lacrima per lacrima. E quando queste lacrime si sono solidificate, sono divenute talmente salde e massicce da non permettere alcuna scappatoia.
Questa mia è una “cinta lacrimaria“; un orgoglio, un mio vanto. Decenni e decenni sono occorsi affinché diventasse perfetta. Ogni mattone, trasparente ma invalicabile; ancor più crudele se permette la visione della libertà e ne impedisce il raggiungimento. Un eterno agognare: un anelito senza fine che in nulla sfocia. Lo so!
Ma ne me vado caracollante e già stanco (in un’età che permetterebbe ancora molto) senza pretendere nulla da me e per carità, senza nulla desiderare da altri.
I colli diafani e lisci delle donne non mi dicono più molto. Le loro levigate guance ancor meno. Forse, mi fa ancora trasalire un poco il polpaccio, sopra il piccolo tallone, quando si inarca per uno slancio e quindi si fa rotondo, solido. Ancora mi perderei dietro quello, percorrendone la china, accarezzandone la curva, come un centauro indomito.
Ma quello e poco altro mi attrae oramai, da questo tritoeritrito.
Se non fotti vali poco; se non guadagni vali poco; se non sei divertente vali ancor meno. E se non sei divertente e non guadagni non fotti. Un tritoeritrito che si morde la coda come un gatto schizofrenico.
Datemi un varco da cui scappare; un buco. Di certo non fuggirei, ma resterei a guardare dietro i vetri, le novembrine lacrime che li istoriano.