Classe digerente

Una serie di immagini create con una APP di intelligenza artificiale che sono chiare ed esaustive, mi pare. Una maniera che ho per dichiarare la stima verso la nostra Classe Digerente. Un Inno al suo impegno e alla sua dedizione.

Se l’immagine non appare completa beh idioti 😁 apritela.

Ignavi

Io da tempo non mi esprimo più sulla politica. Non è nelle mie corde; non la capisco e non ci sono mai entrato. Sono meccanismi complessi in cui è difficile entrare e “sarebbero” impegni gravosi perché uno “dovrebbe” entrare in politica per il bene del proprio paese.
Io non me la prendo con chi ha votato a destra o a sinistra. Io sono incazzato con chi non vota.
Quelli come voi Dante li metteva nel girone degli “ignavi” che è una delle tipologie umane più inutili, scialbe e facilmente manovrabili da chiunque: poiché non hanno una spina dorsale!
Dante vi definisce come coloro

“che mai non fur vivi” (che non furono mai in vita. Zombie inutili che vivacchiano come blatte, attaccate ai rifiuti.

È grazie a voi che prolifera la corruzione; è per voi che governano pupazzi incapaci; è colpa vostra il disastro delle scuole perché il vostro confine visivo, il vostro povero cervello non va al di là del vostro giardino.
La vostra ignavia ricadrà sulla testa dei vostri figli e dei vostri nipoti!!

(Nella immaginez: gli ignavi seguono una banderuola)

Tritoeritrito

Sandro Amici

Oh, datemi un punto da cui fuggire: un buco, un pertugio, un varco.
Io non fuggirei, credo. Sono così felice della mia galera! In fin dei conti l’ho costruita lacrima per lacrima. E quando queste lacrime si sono solidificate, sono divenute talmente salde e massicce da non permettere alcuna scappatoia.
Questa mia è una “cinta lacrimaria“; un orgoglio, un mio vanto. Decenni e decenni sono occorsi affinché diventasse perfetta. Ogni mattone, trasparente ma invalicabile; ancor più crudele se permette la visione della libertà e ne impedisce il raggiungimento. Un eterno agognare: un anelito senza fine che in nulla sfocia. Lo so!
Ma ne me vado caracollante e già stanco (in un’età che permetterebbe ancora molto) senza pretendere nulla da me e per carità, senza nulla desiderare da altri.
I colli diafani e lisci delle donne non mi dicono più molto. Le loro levigate guance ancor meno. Forse, mi fa ancora trasalire un poco il polpaccio, sopra il piccolo tallone, quando si inarca per uno slancio e quindi si fa rotondo, solido. Ancora mi perderei dietro quello, percorrendone la china, accarezzandone la curva, come un centauro indomito.
Ma quello e poco altro mi attrae oramai, da questo tritoeritrito.
Se non fotti vali poco; se non guadagni vali poco; se non sei divertente vali ancor meno. E se non sei divertente e non guadagni non fotti. Un tritoeritrito che si morde la coda come un gatto schizofrenico.
Datemi un varco da cui scappare; un buco. Di certo non fuggirei, ma resterei a guardare dietro i vetri, le novembrine lacrime che li istoriano.

Anima(le) gemella

Se esco per fare una passeggiata a piedi lui è di fianco a me, poco più avanti, ma perfettamente adatto ai miei passi lenti. Ripercorro le stesse strade e lo sento ansimare in estate e tirare, brioso, in inverno. È una sensazione che non avrei mai pensato di provare: un vuoto enorme qui nel petto. E dolorosa tanto più il mio ricordo si fa vivido e particolareggiato, tanto da percepire sotto le dita la sua schiena, il suo collo morbido, il suo odore forte. È stato amico di giochi, di vita e forse scrivo quello che migliaia prima di me hanno già scritto. Ma è stupefacente: il mio amore per lui non diminuisce di un nulla.

Nessuno, tra quelli di noi che lo hanno conosciuto, dimentica la sua naturale bontà e la sua generosa e puntuale presenza. Non si poteva non amare. Era fatto di amore.

Black sulla sua panchetta

Due

Non capita di frequente nei musei, di trovarsi accanto ad un bambino.
Ma ora sei di fronte ad una tela che tra centinaia di altre ben più famose e celebrate è quella che ti ha colpito dentro e che piano piano ti sta scavando una voragine profonda che ti lascerà il seme di quell’opera, il suo aroma nell’anima per anni. Forse per sempre.
Poi piano piano quando l’essenza dell’opera oramai è dentro di te e tu provi quel senso di appagamento che già sai durerà solo qualche altro minuto, cominci a prestare attenzione a quello che c’è intorno, uscendo da quella sorta di rapimento che non accadrà mai più, pur conservandone l’eco.
In quel momento ti metti ad osservare il ragazzino. E’ goffo. Sta dritto come un soldatino (come si conviene, credo gli abbiano insegnato) e ha le gambotte grosse dentro ridicoli calzettoni marroni che arrivano fin sotto il ginocchio.
Indossa un paio di pantaloncini al ginocchio con le pence e una camicina a maniche corte di un verde smorto. Quello che ti colpisce è l’espressione rapita del suo volto. Siete arrivati quasi contemporaneamente ma, a differenza di te, lui sta ancora guardando la tela estasiato.
“Vedi come nei bambini la meraviglia è più estesa? Duratura? In te c’è voluto così poco perché svanisse! Ora stai già pensando alle incombenze, alle scadenze, ai grattacapi. Lui no: lui è ancora rapito dal quadro. Pare come che ne voglia ingoiare l’essenza con lo sguardo…”
Poi, guardandolo meglio, sopraggiunge qualcosa di famigliare: quell’aria poco vivace ed anzi triste, quell’abbigliamento da botteguccia di paese; quegli accostamenti di colore così provinciali. Ti fai più vicino e annusi l’aria. Il profumo… il profumo… ecco che ti stordisce e ti ricorda lo specchio del bagno di casa, le boccette messe in fila, il braccio di tua madre riflesso dallo specchio mentre ti cosparge di lozione. Così ti accorgi che quel bambino sei tu da bambino. Lo capisci dalla pancetta in fuori, dai gomiti così assolutamente puliti e dalla fragranza della camicina, stirata come se dovesse andare in parata, com’era anche per il fiocco bianco e il grembiule nero delle elementari. Sei tu da bambino perché ha quest’aria addolorata mentre non ne avrebbe il motivo; ha questa pinguedine di cui non avrebbe bisogno. E allo stesso tempo però questa passione forte per le cose belle, che abbagliano e che lasciano senza parole.
“Dio mio! Ma non dovrebbe a quell’età giocare? Non dovrebbe a quell’età stare con i suoi coetanei, scambiare le prime frasi sceme con le bambine? Quei rintuzzi tipici dell’adolescenza, quei dispetti inutili, che fanno tanto ridere?
Perché questo visino serio, questa vecchiaia anticipata di molti, troppi decenni?”
Ti accorgi che a sua volta ti guarda.
“Che vecchio strano… questo vecchio manda un cattivo odore! Puzza di pesce e di scaffali. Puzza di libri e di muri. Puzza di brodo! E guarda come tiene il piede! Lo tiene tutto in qua; pare che stia a guardarmi, il piede. Forse la notte se ne sta in un baule come i vampiri. Ha la faccia di Dracula da vecchio! Però è strano… forse è un mio lontano zio? Forse quello zio di cui tutti mi parlano e io non ho mai visto? E sta da solo! Per forza! I vampiri stanno da soli! Non hanno mica moglie! E vorrei vedere chi se li piglia, i vampiri! E quel naso grosso, a patata, come il mio? Quindi anche lui da bambino metteva le dita nel naso e la mamma gli diceva non mettere le dita nel naso che ti si allarga! Sì: deve essere un parente! Deve essere un cugino! Ma che parente triste, solo, antipatico! Farò finta di non conoscerlo! Non si può dare confidenza ad uno così, che pare uscito da una grotta insieme ai pipistrelli! E odio questo suo odore di brodo. E’ lo stesso brodo che fa la mamma tutti i sabato e che io non sopporto! Sì: deve essere un mio cugino lontano lontano!”

E stanno un po’ uno di fianco all’altro.
Poi nello stesso istante decidono che è ora di andare e ognun per sé tornano sui loro passi. Il vecchio per la rampa in discesa e il bambino su quella opposta salendo. Il primo dondolando un poco, sguardo basso e l’altro trotterellando allegramente sulle scarpone strambe, su per i gradini. Poi si voltano indietro come per congedarsi.
Non si salutano. Si incontreranno ancora.

Immagine di Maurizio1953

Calcio senza fallo

Quando riprenderà il Campionato di calcio (lo scrivo maiuscolo perché trattasi di argomento di capitale importanza) si dovranno necessariamente cambiare le regole del gioco. Si dovrà stare a due metri di distanza dall’arbitro, che dovrà a sua volta stare a due metri di distanza da tutti i giocatori intorno. Per fare questo sarà dotato di un cerchio da applicare intorno alla vita che permetterà di mantenere questa distanza. I cartellini (giallo e rosso) dovranno misurare quaranta centimetri per lato, così da essere visibili a certe distanze. I giocatori particolarmente essudativi dovranno essere avvolti dal Domopack prima della partita e anche loro comunque, dovranno rispettare la distanza di due metri l’uno dall’altro. Quindi per sottrarre la palla all’avversario ci dovrà essere il “contrasto verbale”; ossia chi difende dovrà convincere il possessore della palla a consegnargliela agendo sulle leve emotive; dovrà cioè commuoverlo in qualche modo, parlandogli magari della malattia della mamma e del fatto che ha contratto un mutuo… che se perde la partita sua moglie piangerà. Oppure potrà dissuaderlo a continuare la sua marcia indisturbata verso la porta affliggendolo con insulti pesanti, offese di tipo psicologico: “Sei una pippa abissale” oppure “ricordati quando giocavi con il Virtus Abbasanta!” Se questo convincimento non riuscirà, non resterà che al portiere cercare di fermare il pallone prima che questo vada in rete. Quindi non ci saranno saluti con strette di mano, né il famoso lancio della monetina, a meno che questo non avvenga con i guanti indossati. Durante la partita non saranno consentiti gli abituali scaracchi sul prato o la famosa “snasata” chiudendo una narice, atta ad espellere muco dalle profondità nasali dei giocatori. Se questa avvenisse, dovrebbero intervenire degli addetti per togliere la zolla potenzialmente infettata e sostituirla con un altra, lavabile, a 0,50 l’una.
Per il notorio egoismo e cinismo dei giocatori (ai quali tra l’altro la società di appartenenza paga abbastanza salati stipendi) già si prevede che pochi abboccheranno all’opera di convinzione degli avversari e si immaginano punteggi a doppia cifra (15 a 11 il risultato finale più probabile, secondo uno studio della Virologa Capua).
Comunque, il Campionato di calcio dovrà riprendere, perseguendo quel ritorno alla “normalità” che dovrebbe consentire, nel 2035 di poter tornare allo stadio. Ritorno allo stadio che comunque non dovrà essere consentito ad un numero superiore di 300 tifosi per squadra. 300: possibilmente giovani e forti.