Dopo la visita ai parenti ricoverati, niente comunica più degli occhi. Ci sono quelli che escono dagli ascensori con lo sguardo neutro, che fa come da confine con quello che succede intorno. Sono i figli o i nipoti dei ricoverati anziani senza più speranze e che presto saranno mandati a finire i giorni in un asettico quanto implacabile hospice. Camminano con le spalle diritte: consapevoli e rassegnati, con le chiavi della macchina in una mano. Erano già entrati con le chiavi in mano, perché la loro visita è stata breve, dolorosa, di circostanza. Le solite frasi, i soliti sguardi, le solite mani che si trovano e si lasciano perché tanto alla fine, il peggio tocca a chi rimane.
Poi ci sono quelli che escono ridendo, scherzando, dandosi pacche sulle spalle. Sono i parenti dei novelli papà o di fratturati, lussati: gente che uscirà presto. Persone che hanno traumi leggeri, di passaggio. Impigli nel corso della vita. Oppure sono i falsi cinici; quelli che pur avendo un gran dolore dentro, non mostrano di averlo. E soffrono il doppio, avendo come unico appiglio un farmaco che li acquieta o un vizio che li rovina.
Quelli con le spalle appesantite da un masso, che guardano fisso davanti a sé sono quelli con in ospedale un parente giovane, improvvisamente ammalato o vittima di una disgrazia che non ha più rimedio; una madre ancora nel fiore degli anni, presa da qualche male che non si riesce a vincere, qualcuno che ha un congiunto costantemente appeso ad un filo: sempre tra la vita e la morte e “che morire non vuole morire ma nemmeno vuole vivere”. Sono quelli che non sanno più cosa fare o pensare, evidentemente il cui destino è stato molto peggiore di quello di altri. Perché tra poco è Ferragosto, ma questa aria condizionata in corsia non fa distinguo tra le stagioni. Potrebbe essere Natale, Autunno, Pasqua o Capodanno.
Ma tu guarda uscire la gente dall’ospedale per approfondire la tua conoscenza della umanità…

