I Miti

Quello che una volta credevo fiaba è diventato dura realtà!

Il mio adorato nonno era un fascista senza il coraggio di dirlo apertamente. Quelle verdi colline digradanti soltanto selve presto abbandonate. La dolce fata che le mie giornate colorava, una scaltra ninfomane bugiarda. Non è restato nulla! Nemmeno la soddisfazione di vedere i colpevoli morire. Loro sono sempre là, trionfanti.

Il mondo continuerà ad essere un gran cesso, una latrina aperta ed io, ad un certo punto più nessuno: grigia poltiglia al vento.

Così! Puff…

Sempre

È sempre notte quando ti inseguo senza mai raggiungerti. Poiché solo in sogno ti vedo, o perfetta somiglianza! O sublime sintonia! Questo tuo sorriso che sorride al cosmo, superando mille volte il cielo; questa dolce serenità… questa bellezza sinuosa che ti viene anche da dentro; questa forza prodigiosa…

E io di notte ti vedo, camminar veloce su per le salite. Mai doma ragazza dalla ferrea volontà feroce. Che non sa fermarsi e che non ha mai tregua nel cercar l’amore. E ne ha talmente tanto che per non farlo tracimare lo dona.

La Kermesse

“È cominciato ed è finito il Festival di Sanremo. Le città erano deserte; tutti gli italiani erano raccolti intorno ai loro televisori. Il Festival di Sanremo e le sue canzonette sono qualcosa che deturpa irrimediabilmente una società. Quest’anno, poi, le cose sono andate ancora peggio del solito: perché c’è stata una contestazione, seppur appena accennata, al Festival. Ciò che si contesta sono infatti i prezzi dei biglietti per ascoltare quelle povere creature che cantano quelle povere idiozie: e si protesta moralisticamente contro il privilegio di chi può pagare il prezzo di quei biglietti. Non ci si rende conto che tutti i sessanta milioni di italiani, ormai, se potessero godere di questo famoso privilegio, pagherebbero il prezzo di quel biglietto e andrebbero ad assistere in carne e ossa allo spettacolo di Sanremo. Non è questione di essere in pochi a poter pagare quelle miserabili ventimila lire ma è questione che tutti, se potessero, pagherebbero. Tutti, operai, studenti, ricchi, poveri, industriali, braccianti..I centomila disgraziati che si tappano le orecchie e si coprono gli occhi davanti a questa matta bestialità, sono abitanti di un ghetto che si guardano allibiti fra loro, senza speranza. E i più non osano neanche parlarne: perché parlarne, sinceramente, fino in fondo, fino all’indignazione, è impopolare come niente altro. E’ per non rischiare questa impopolarità, che i contestatori sono in questo caso tanto discreti. Ma è un calcolo sbagliato, che li rende degni degli “innocenti” cantanti integrati e del loro pubblico.”.

(Pier Paolo Pasolini-Da “Il caos” su “Il Tempo”, n.7, 15 febbraio 1969).

Buona salute

Ti auguro buona salute perché dentro c’è tutto. Ti auguro di elevarti al di sopra delle cose perché le cose sono un mezzo, non il fine. Ti auguro di desiderare un bacio o una carezza, mai la banalità degli oggetti. Tutto si dimentica; non certo l’intenso profumo di un abbraccio o la calda tisana fiorita di una carezza, data senza malizie ma con l’intenzione di restituir calore alla vita fredda, disincantata, disillusa e stanca. Ti auguro di avere accanto un animale, per imparare a non essere ferito; per imparare a gioire ogni volta di gioia immutata, folle, colorata. Ti auguro di essere sempre pulito e calmo, come la ricca pioggia di novembre che fa grassa la terra. Di essere utile alla vita tua. Di essere te.

Marea

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Avanza, si ferma
indugia, procede,
tituba, sovrasta
E’ il mare, che resta.

Marea che sei unica certezza
eterna
che vai oltre noi e oltre tutto
e non hai fine
e quando ti guardo perdo ogni rifugio
e sono preda del caso, del destino, ignaro.
Naufragi siamo a nostra volta
in una vita che non abbraccia come dovrebbe e a volte rotoliamo, senza giudizio.

Ma dove tutto si appiana e si ristabilisce
è in fronte a questo mare che
Avanza, si ferma,
indugia procede,
si calma, s’infuria sbattendo furie di vento e noi, piccole vite.

Irrilevanti

Grati al Sole
Grati al vento
come piccole girandole goffe
che s’impigliano alle foglie delle rose

E’ così il nostro destino, tremebondo,
che implora un poco di benevolenza,
amore e pallide carezze
ancor più disonorevoli dei cani
molto più infidi dei gatti svicolanti
cattivi a nostro gioco
solo noi ne abbiamo il vanto

Eppure, meno durevoli di un attimo
non graffiamo nemmeno il fusto di una quercia
non solleviamo il peso di una piuma
siamo irrilevanti
come amori
che si dissolvono alla fine dell’estate.

Foto di Paola (from VERO)

Facce

Dopo la visita ai parenti ricoverati, niente comunica più degli occhi. Ci sono quelli che escono dagli ascensori con lo sguardo neutro, che fa come da confine con quello che succede intorno. Sono i figli o i nipoti dei ricoverati anziani senza più speranze e che presto saranno mandati a finire i giorni in un asettico quanto implacabile hospice. Camminano con le spalle diritte: consapevoli e rassegnati, con le chiavi della macchina in una mano. Erano già entrati con le chiavi in mano, perché la loro visita è stata breve, dolorosa, di circostanza. Le solite frasi, i soliti sguardi, le solite mani che si trovano e si lasciano perché tanto alla fine, il peggio tocca a chi rimane.
Poi ci sono quelli che escono ridendo, scherzando, dandosi pacche sulle spalle. Sono i parenti dei novelli papà o di fratturati, lussati: gente che uscirà presto. Persone che hanno traumi leggeri, di passaggio. Impigli nel corso della vita. Oppure sono i falsi cinici; quelli che pur avendo un gran dolore dentro, non mostrano di averlo. E soffrono il doppio, avendo come unico appiglio un farmaco che li acquieta o un vizio che li rovina.
Quelli con le spalle appesantite da un masso, che guardano fisso davanti a sé sono quelli con in ospedale un parente giovane, improvvisamente ammalato o vittima di una disgrazia che non ha più rimedio; una madre ancora nel fiore degli anni, presa da qualche male che non si riesce a vincere, qualcuno che ha un congiunto costantemente appeso ad un filo: sempre tra la vita e la morte e “che morire non vuole morire ma nemmeno vuole vivere”. Sono quelli che non sanno più cosa fare o pensare, evidentemente il cui destino è stato molto peggiore di quello di altri. Perché tra poco è Ferragosto, ma questa aria condizionata in corsia non fa distinguo tra le stagioni. Potrebbe essere Natale, Autunno, Pasqua o Capodanno.
Ma tu guarda uscire la gente dall’ospedale per approfondire la tua conoscenza della umanità…

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Le qualità dell’estate

Quali sono le qualità dell’estate?
Ditemene una sola. Corpi che secernono. Non fanno in tempo a rinfrescarsi che subito ricominciano a gettar fuori miasmi e vapori, puzza, afrori cavallini.
Stamattina, dopo una notte da “fettina panata”, trascorsa a girarmi nel letto senza peraltro trovare requie, mi sono alzato con una narice, una sola, che letteralmente gocciolava vapore.
Ho dato uno sguardo fuori: non una foglia mossa, non una speranza di vento. E così, già dal mattino alle otto cominci a sentire una fame d’aria, una leggerezza di testa che rende tutto più complesso, faticoso, affannato.
Quali sono le qualità dell’estate? Vi prego, annunciatemene una. Vi giuro che ne sarei felice. Una sola qualità che sia appena sufficiente ad addolcire questa rovente e piccante aria di vetro.
Mi dicono di serate trascorse al riparo di un tetto di paglia, in ascolto del rumorio del mare. E le zanzare? Infami zanzare affamate ed invisibili, come la dannazione, che s’alzano da ogni dove e colpiscono dove gli pare…
Mi raccontano di tramonti marini, l’orizzonte piatto e liscio del pelago aperto, infinito. E l’umidità che s’alza dalla sabbia come da una pentola il cui coperchio vien tenuto chiuso? E la sabbia stessa? Che trattiene il bollore del giorno appena trascorso.
L’estate del rivolo di sudore al centro della schiena, del ventilatore che smuove aria rovente, dell’acqua che non appaga, delle piante da fiore che rivolgono la loro corolla a terra, cercando di trovare pace…
Dunque, quali sono le qualità dell’estate?

Vintage sunset sea background, painting by Banyong Wattanapayungkul is licensed under CC-CC0 1.0