Classe digerente

Una serie di immagini create con una APP di intelligenza artificiale che sono chiare ed esaustive, mi pare. Una maniera che ho per dichiarare la stima verso la nostra Classe Digerente. Un Inno al suo impegno e alla sua dedizione.

Se l’immagine non appare completa beh idioti 😁 apritela.

Ignavi

Io da tempo non mi esprimo più sulla politica. Non è nelle mie corde; non la capisco e non ci sono mai entrato. Sono meccanismi complessi in cui è difficile entrare e “sarebbero” impegni gravosi perché uno “dovrebbe” entrare in politica per il bene del proprio paese.
Io non me la prendo con chi ha votato a destra o a sinistra. Io sono incazzato con chi non vota.
Quelli come voi Dante li metteva nel girone degli “ignavi” che è una delle tipologie umane più inutili, scialbe e facilmente manovrabili da chiunque: poiché non hanno una spina dorsale!
Dante vi definisce come coloro

“che mai non fur vivi” (che non furono mai in vita. Zombie inutili che vivacchiano come blatte, attaccate ai rifiuti.

È grazie a voi che prolifera la corruzione; è per voi che governano pupazzi incapaci; è colpa vostra il disastro delle scuole perché il vostro confine visivo, il vostro povero cervello non va al di là del vostro giardino.
La vostra ignavia ricadrà sulla testa dei vostri figli e dei vostri nipoti!!

(Nella immaginez: gli ignavi seguono una banderuola)

E venne quel giorno

E venne quel giorno.
L’alto rappresentante dei Governi Europei aggiustò i fogli, accomodò la cravatta e si alzò, seguito dagli sguardi referenti degli amici e dei contrapposti, giacché godeva della stima incondizionata degli uni e degli altri. Era un uomo alto, sulla settantina, dalle folte sopracciglia candide e il fisico asciutto, in un doppiopetto sartoriale.
Aveva in Italia una dependance sul lago di Garda; ma poc’altro; così che non si potesse parlar male di lui o dire che aveva fatto fortuna con la Politica. In realtà di fortuna ne aveva fatta: ma sorretto dal Clero e dalle masse belanti che vedono solo la scorza e non il succo, aveva intorno a sé una specie di aura da Santo, da Super Partes, da casto.
Avanzò dal suo seggio fino allo scranno principale, poggiò i fogli sul leggio e iniziò non prima di aver posato lo sguardo sulla platea di Primi Ministri, Generali e giornalisti.

Gofa Gabà!” iniziò.
Weresté Gomoni Ierushi Erevere… Poste ka sia barfa Kakumi e Gabbata!
I politici in sala dapprima guardarono imbarazzati i fogli che avevano davanti: il programma dei discorsi, il depliant dell’Isola di Capri ov’erano ospitati per il congresso; indipoi si guardarono tra loro, con le facce stordite, ticchettando sulle cuffie.
Il capo traduttore era un uomo che non perdeva mai la calma. Il suo staff lo chiamava “il buon zio” perché era sempre sereno con tutti, in ogni situazione: anche nelle più stressanti.
Vide che le sue ragazze negli appositi cubi vetrati smanacciavano tra le carte, si guardavano tra loro attraverso i divisori: avevano i volti pallidi e pietrificati.
Lui allora entrò in uno dei box e chiese:
MoMbò! XECERU!!!!” e aspettava una risposta. Aveva la faccia di chi cercava una risposta.
L’altra lo guardò con gli occhi sgranati, sull’orlo del pianto.
IEIE!” disse allargando le braccia! “IEIE” ripeteva.
Il capo traduttore guardò in sala. Il relatore continuava a parlare ma molti astanti s’erano alzati, si giravano attorno increduli, si chiamavano tra conoscenti.
Allora scese a precipizio gli scaloni che lo separavano dalla sala. Si avvicinò ad uno dei cameraman.
PIXXIO” gli disse. “Albus barussi cafarnas?
L’altro lo guardò come si guarda un demone apparso all’improvviso.
ULPIA!” gridò. “Ulpia gromssann geberit!” e si staccò dalla telecamera, mettendo le mani davanti alla faccia, disperato.
Il capo traduttore piano piano capiva.
Tronfi Generali stavano in piedi e motteggiavano frasi senza senso, arrabbiandosi perché gli altri non li capissero e soprattutto che loro stessi non capissero quello che dicevano.
A tutti venne in mente che la cosa, almeno nel Mito, era accaduta.
I più spaventati si allontanavano. Come se fuggendo da quel luogo potessero riacquistare il linguaggio precedente o comprendere finalmente ciò che veniva loro detto.
Il relatore stava sul palco; la faccia chiaramente contrita e offesa. Il suo discorso non lo ascoltava più nessuno. Può nessuno riusciva a capire l’altro e soprattutto a capire se stesso.
Volevano dire una parola ma ne usciva tutt’altra.
Le donna urlavano e si disperavano.
Le urla; i grugniti belluini e bestiali sarebbero diventati da allora il nuovo linguaggio.
Solo con le urla e i grugniti oramai avrebbe parlato l’uomo e così sarebbe ricominciato tutto.

Peter Bruegel il Vecchio – La Torre di Babele – 1563

Rutti e rigurgiti

Quand’ero bambino vivevo in una sorta di oasi protetta da nugoli di zie, nonni e parenti di estrazione contadina che avevano fatto fortuna nel dopoguerra e successivamente, durante il boom degli anni sessanta. A vederli dall’esterno della Mitologia che il ricordo, la giovane età e l’amore costruisce, beh si trattava dei classici paesanotti ripuliti che avevano del tutto mantenuto la mentalità ottusa e serrata a doppia mandata del paesotto abbarbicato sulla collina.

Dentro quel mondo entravano in pochi e, quei rari casi, erano sempre guardati come si guarda agli estranei ai quali “era stata fatta la grazia di appartenere a quella famiglia che bla bla bla e bla…”
Così la zia acquisita era una “volgarotta che avrà da ringraziare a vita il marito per averle permesso di entrare in un certo ceto sociale”… lo zio acquisito invece era stato accettato e venerato “perché veniva da Roma” quindi si presupponeva tutta una serie di cose: ossia si presupponeva che fosse una persona còlta, moderna, educata… Poi, quando si approfondirono le conoscenze e si scoprì che i genitori erano originari del profondo Abruzzo si cominciò a far battutine sul fatto che coabitassero con le pecore… che in definitiva, a guardarlo bene, aveva un so che di montanaro, con quei rossi e quei baffi secchi e duri come spazzole da cavalli…

Nel 2020 pensavo di esserne definitivamente uscito.
Credevo che la società finalmente desse per acclarate tutta una serie di cose; che la libertà di azione e di pensiero fossero oramai sdoganate da un pezzo. Ma non è così, perché la società ci sorprende sempre. E lo fa quasi sempre in negativo. I ragionamenti e le azioni virtuose, nella nostra società postmoderna… moderna un cazzo, non sono che l’eccezione.  
E’ stata per me illuminante la risposta che ha dato, sere fa, una anziana ex partigiana alla domanda di un giornalista. E cioè come si spiegava che ultimamente si tendesse a giustificare alcune azioni del Fascismo; ad essere insomma, nei confronti del Fascismo, più tolleranti.
Lei ha risposto che in effetti gli italiani sono stati sempre un po’ fascisti: perché in definitiva a loro piace che ci sia qualcuno lì a comandare e decidere tutto al posto loro. Perché la “Democrazia è faticosa!”

Questo rigurgito (chiamiamolo pure rutto) del Fascismo torna in superficie sempre più spesso, parliamoci chiaro. A guardare sui Social è fenomeno ormai di massa. Definire “Zoccola!” la cooperante italiana liberata ultimamente solo perché si è convertita all’Islam la dice lunga sul come questa mentalità bestia e retriva abbia ancora presa su un popolo che è, di fondo, bestia e retrivo. Se poi ci mettiamo il carico da novanta che esistono delle testate giornalistiche comandate da coglioni populisti il gioco è fatto. E bisogna stare attenti. Non perché i fascisti spaventino qualcuno (con quell’atteggiamento da sparoni coatti inconcludenti non hanno spaventato mai nessuno). Bisogna solo stare attenti che questo atteggiamento di chiusura e di avversione alla libertà di pensiero non ci releghi ancora più in fondo nella scala di valori europea. Sempre che esista un fondo da grattare ancora più in basso di quello su cui ci stiamo logorando le unghie da qualche mese.