Come sono i ricordi

I ricordi non sono mai aderenti alla realtà. Tendono a smussarsi quelli dolorosi, ad addolcirsi ancora di più quelli già piacevoli.
Se poi la tecnologia ci aiuta in questo rimestio del passato, allora tutto diventa più semplice e piacevole.
Non sono un esperto di Creazione di immagini virtuali tramite Intelligenza artificiale e quindi il mio risultato è molto rozzo.
Sull’onda del ricordo delle domeniche passate alla casa degli zii, mi sono giunte alla mente nitidissime le scale che portavano all’appartamento. Scale di palazzoni di una volta; non dico monumentali ma molto severe, scure e sempre fresche, anche in estate. Non c’era l’ascensore ma salire non era una impresa titanica: i gradini erano bassissimi e le campate lunghissime. Quasi una passeggiata in salita.
Ho chiesto questo al software. Creare una immagine di bambini sulle scale; bambini felici trafitti dalla luce di traverso del sole del mattino.
E il risultato non mi è da subito piaciuto. Erano immagini troppo distanti dal mio ricordo. Ma la inquietante magia di questi programmi è che tu puoi creare delle varianti di quello che hai già creato. Delle copie riviste e rimodulate sulla base delle tue preferenze.
Il risultato è quello che vedete. Mi piace perché mi tranquillizza. Mi rammenta quelle domeniche con i papà orgogliosi, il loro vassoio di paste alla crema, l’odore delle salse che saliva come lo zufolare di flauti su per la tromba delle scale.

Immagine creata con Software MidJourney

Romarcio

Oggi affacciandomi sul muretto del lungotevere ho scoperto cos’è Roma.
Roma è fetida.
Il suo è una sorta di “fascino da latrina vecchia” (di quelle di marmo arrotondato e che con il tempo ingiallivano per il tanto contatto con il piscio) che va consumandosi di decennio in decennio e di secolo in secolo, senza redenzione.

Infatti Roma, anziché migliorarsi dentro, allarga la sua piaga in periferia; forse sperando che i suoi estremi saranno meglio congegnati, meglio architettati, meglio abitati.
Invece dal lungotevere la latrina si espande, si irradia e non conosce confini. Forse non li ha. Vi è una sorta di riconquista dei territori da parte di Roma; riconquista che però non è sinonimo di miglioramento. Roma inquina tutto, spiscia tutto con la sua aria raffazzonata, finto elegante, una volta imperante ed austera ma ora ridotta a raggrinzito putridume di sé, gettato tutto intorno il più lontano possibile. Quella che i turisti vedono è una ristretta area di marciume decentemente conservato, sufficientemente diserbato. Tedeschi e americani vedono in questo trionfo di mattonato oramai cascante non il ricordo di un Impero infallibile quanto l’emblema dell’italianità: l’avanzo, il detrito, il puzzo di fritto, il pancione sulla soglia del chiosco della grattachecca. E per tutti loro questo è pittoresco; deliziosamente italiano. Tutto un po’ cialtrone, canzonatorio, melanconicamente allegro e terribilmente volgare. Volgare come i tubi del gas che dalla strada principale scendono a precipizio i muri del lungofiume per raggiungere esercizi abusivi, arenati sulla mota del fondo.
D’altra parte basta spostarsi di qualche decina di metri e Roma diventa un banale paesone disorganizzato, case gialle e case ocra, case blu e case marrone. Tutte accatastate inseme in un groviglio di fili di ex filobus, stazioni di metro in costruzione da decenni e autobus che sfiatano fumi in ingorghi. Ma questo lo sappiamo.