I ricordi non sono mai aderenti alla realtà. Tendono a smussarsi quelli dolorosi, ad addolcirsi ancora di più quelli già piacevoli.
Se poi la tecnologia ci aiuta in questo rimestio del passato, allora tutto diventa più semplice e piacevole.
Non sono un esperto di Creazione di immagini virtuali tramite Intelligenza artificiale e quindi il mio risultato è molto rozzo.
Sull’onda del ricordo delle domeniche passate alla casa degli zii, mi sono giunte alla mente nitidissime le scale che portavano all’appartamento. Scale di palazzoni di una volta; non dico monumentali ma molto severe, scure e sempre fresche, anche in estate. Non c’era l’ascensore ma salire non era una impresa titanica: i gradini erano bassissimi e le campate lunghissime. Quasi una passeggiata in salita.
Ho chiesto questo al software. Creare una immagine di bambini sulle scale; bambini felici trafitti dalla luce di traverso del sole del mattino.
E il risultato non mi è da subito piaciuto. Erano immagini troppo distanti dal mio ricordo. Ma la inquietante magia di questi programmi è che tu puoi creare delle varianti di quello che hai già creato. Delle copie riviste e rimodulate sulla base delle tue preferenze.
Il risultato è quello che vedete. Mi piace perché mi tranquillizza. Mi rammenta quelle domeniche con i papà orgogliosi, il loro vassoio di paste alla crema, l’odore delle salse che saliva come lo zufolare di flauti su per la tromba delle scale.
Month: February 2023
Romarcio
Oggi affacciandomi sul muretto del lungotevere ho scoperto cos’è Roma.
Roma è fetida.
Il suo è una sorta di “fascino da latrina vecchia” (di quelle di marmo arrotondato e che con il tempo ingiallivano per il tanto contatto con il piscio) che va consumandosi di decennio in decennio e di secolo in secolo, senza redenzione.
Infatti Roma, anziché migliorarsi dentro, allarga la sua piaga in periferia; forse sperando che i suoi estremi saranno meglio congegnati, meglio architettati, meglio abitati.
Invece dal lungotevere la latrina si espande, si irradia e non conosce confini. Forse non li ha. Vi è una sorta di riconquista dei territori da parte di Roma; riconquista che però non è sinonimo di miglioramento. Roma inquina tutto, spiscia tutto con la sua aria raffazzonata, finto elegante, una volta imperante ed austera ma ora ridotta a raggrinzito putridume di sé, gettato tutto intorno il più lontano possibile. Quella che i turisti vedono è una ristretta area di marciume decentemente conservato, sufficientemente diserbato. Tedeschi e americani vedono in questo trionfo di mattonato oramai cascante non il ricordo di un Impero infallibile quanto l’emblema dell’italianità: l’avanzo, il detrito, il puzzo di fritto, il pancione sulla soglia del chiosco della grattachecca. E per tutti loro questo è pittoresco; deliziosamente italiano. Tutto un po’ cialtrone, canzonatorio, melanconicamente allegro e terribilmente volgare. Volgare come i tubi del gas che dalla strada principale scendono a precipizio i muri del lungofiume per raggiungere esercizi abusivi, arenati sulla mota del fondo.
D’altra parte basta spostarsi di qualche decina di metri e Roma diventa un banale paesone disorganizzato, case gialle e case ocra, case blu e case marrone. Tutte accatastate inseme in un groviglio di fili di ex filobus, stazioni di metro in costruzione da decenni e autobus che sfiatano fumi in ingorghi. Ma questo lo sappiamo.