Un Canto

Facciamo partire i canti
dalle facciate grigie dei palazzi
lasciamo che scendano giù in strada
ad irrorare Estate
di fresco incancellabile.

Canti cantati assieme
ad una voce
come da bimbi, saltellando
ed agitando in alto i palmi delle mani

Sì che basterebbe, per iniziare un cenno
facciamo che siano i bambini a dare il LA
iniziando con una canzonetta
e poi un altro e un altro ancora, in un concerto.

Che arrivi il suono dai palazzi alti,
scenda come torrente sui bassi condomini
e si perda in strada come rivolo.

Cantiamo tutti insieme una canzone
che ci renda TUTTI per un attimo
scendiamo giù dal pulpito
saliamo dalla fossa della solitudine.

Roma – Balduina

Devozione

Queste poche foto le ho scattate in un antico Santuario Romano, quello della Madonna del Divino Amore. Come tutti i luoghi “santi” raccoglie un grande numero di devoti ogni domenica. Si tratta di persone dall’età avanzata. Ho visto pochissimo ragazzi o coppie di giovani alla funzione religiosa tenutasi all’aperto. La Chiesa Cattolica Romana ha oramai scarsissimo appeal. Tra l’altro continua a mantenere una “tetraggine” di fondo che certo non invita a partecipare. Ho sempre pensato che le Messe Cattoliche parlano più di morte che di vita. Le omelie, i canti, tutta l’atmosfera ha avuto sempre ai miei sensi un sapore “medioevale” nel senso deteriore del termine.
Riti chiaramente “superstiziosi”, leggende di “miracoli” accaduti nell’antico e tendenti a fare colpo in un volgo analfabeta di contadini e pastori.
Sia chiaro: sempre meglio credere in qualcosa che non credere in nulla, come dimostra l’individualismo nichilista delle nuove generazioni. Ma dovrebbe essere un credo tendente all’azione e al cambiamento. E questo mutamento non si intravede né al Divino Amore né nelle piazze di movida frequentate dai nostri giovani.

Romarcio

Oggi affacciandomi sul muretto del lungotevere ho scoperto cos’è Roma.
Roma è fetida.
Il suo è una sorta di “fascino da latrina vecchia” (di quelle di marmo arrotondato e che con il tempo ingiallivano per il tanto contatto con il piscio) che va consumandosi di decennio in decennio e di secolo in secolo, senza redenzione.

Infatti Roma, anziché migliorarsi dentro, allarga la sua piaga in periferia; forse sperando che i suoi estremi saranno meglio congegnati, meglio architettati, meglio abitati.
Invece dal lungotevere la latrina si espande, si irradia e non conosce confini. Forse non li ha. Vi è una sorta di riconquista dei territori da parte di Roma; riconquista che però non è sinonimo di miglioramento. Roma inquina tutto, spiscia tutto con la sua aria raffazzonata, finto elegante, una volta imperante ed austera ma ora ridotta a raggrinzito putridume di sé, gettato tutto intorno il più lontano possibile. Quella che i turisti vedono è una ristretta area di marciume decentemente conservato, sufficientemente diserbato. Tedeschi e americani vedono in questo trionfo di mattonato oramai cascante non il ricordo di un Impero infallibile quanto l’emblema dell’italianità: l’avanzo, il detrito, il puzzo di fritto, il pancione sulla soglia del chiosco della grattachecca. E per tutti loro questo è pittoresco; deliziosamente italiano. Tutto un po’ cialtrone, canzonatorio, melanconicamente allegro e terribilmente volgare. Volgare come i tubi del gas che dalla strada principale scendono a precipizio i muri del lungofiume per raggiungere esercizi abusivi, arenati sulla mota del fondo.
D’altra parte basta spostarsi di qualche decina di metri e Roma diventa un banale paesone disorganizzato, case gialle e case ocra, case blu e case marrone. Tutte accatastate inseme in un groviglio di fili di ex filobus, stazioni di metro in costruzione da decenni e autobus che sfiatano fumi in ingorghi. Ma questo lo sappiamo.

Un’altra goccia nel mare

Quando ero ragazzo e Roma, nonostante fosse Roma, riusciva ai miei sensi a sfavillare e profumare, ero solito fermarmi a leggere sulle panchine di Piazza Risorgimento, al capolinea.
Leggevo interi libri in due o tre giorni, del tutto ignaro di quel che accadeva intorno, ogni tanto attratto e subitamente innamorato di una ragazza, del tutto perso anche solo per uno sguardo, tremante per giorni dopo aver intuito un sorriso sfuggente sulle labbra di una ragazza e non troppo lontano da una grande libreria proprio davanti ai bastioni michelangioleschi. L’insegna maestosa e lunga per tutte le dieci vetrine campeggiava rossa. Libreria Maraldi.
Una libreria talmente grande che, mi ricordo, mi stupiva con sempre nuovi cunicoli , budelli e sotterranei che contenevano via via testi sempre più misteriosi, codici oscuri, edizioni infrequenti. Io trascorrevo in quel posto ore di perdizione; del tutto stordito da quell’odore di cartamuffa, di discorsi fatti sottovoce, di suono sfogliante.
Qualche anno fa, trasecolato, passando là davanti mi accorsi che non c’era più: frammentata e sub venduta a gelatai, mercanti di brutture, agenzie “skip the line“.
Inutile dire che con essa se ne andò e malamente una parte della mia giovinezza.

Ieri leggo che un altro baluardo di cultura, dopo anni di sforzi gestionali e perdite ingenti mese per mese, se ne va. Cara Libreria Odradek di via Dei Banchi Vecchi a Roma: che fosti così generosa da accogliere anche le mie fotarelle! A due passi da piazza Navona…. sparita anche tu! Perché “Muoiono anziani e accaniti lettori e non c’è il ricambio. Le nuove generazioni non vivono più nella “civiltà della carta

E in quale “civiltà” vivono le nuove generazioni? No, cara libreria Odradek; sei stata troppo buona. Le nuove generazioni, una volta presa dimestichezza con il telecomando della TV e cominciato a scorrere l’indice sullo smartphone non vivono più alcuna civiltà ma si assuefanno, si drogano di lampi di display, senza capacità di analisi e senza discernimento.
Non passano dalla carta alla lettura “liquida”, no. Proprio smettono di leggere.
Nel caso della lettura bisognerebbe smettere di essere politicamente corretti: alle nuove generazioni non interessa nulla della lettura: sono cose barbose, interminabili, ben più lunghe delle 30 pagine in media che un lettore di social riesce a tollerare prima di cambiare “visualizzazione”.
E che volevi fare, cara Odradek, superare indenne l’era di Bezos?

Teniamoci i “talent”, i “blogger”, “i Brands Ambassador”. La loro gestione è tanto più semplice, sbrigativa e crudele: basta scorrere l’indice.

La nobiltà

Ho fotografato questo ragazzo. Era dalle parti del Pantheon. In questa livrea rossa, tutto impettito e tutto impacciato. Un bel ragazzo: tipica bellezza romana: alto, riccioluto, che ad ogni passante offriva la possibilità di un pranzo ottimo a prezzo modico nel ristorante lì vicino.
Mi colpii perché faceva sempre lo stesso gesto, allungando un braccio e tendendo un menu plastificato ai passanti; accennando un minimo sorriso che subito, quasi vergognandosene, ritraeva, diventando di colpo di nuovo serio, fino al prossimo turista.
“Che tocca fare per vivere!” mi dissi.
Non è che io facessi un lavoro più onorevole, eseguendo gli ordini impartitimi da dirigenti incapaci, ma sicuramente ero consolato dal fatto di guadagnare uno stipendio onesto.
Lui era parte della coreografia romana. Nella piazza pulita per i turisti, al centro di un dedalo di immondizie ammonticchiate. Provai per lui una immensa tenerezza.
Vorrei dirgli che l’ho fotografato per l’immenso rispetto che gli porto e che vorrei che tutti, il mondo intero, gli portasse.
Questo ragazzo poi sarà tornato a casa, avrà fatto una bella doccia, avrà incontrato chi ama.
Sta tranquillo: chi ti conosce sa che non è il lavoro a dare qualità ad un uomo. Sono le cose che ti circondano; che hai attorno, che leggi e che scrivi. Che fotografi e che visiti viaggiando. E’ la saggezza della vita, non la capacità a far di conto o quella, becera, della competitività.
Sei bellissimo nella tua livrea, ma saresti bello anche con una polo o una canotta.
Per questo ti ho fotografato.
Se passi su questo profilo, mandami il tuo saluto.