La Kermesse

“È cominciato ed è finito il Festival di Sanremo. Le città erano deserte; tutti gli italiani erano raccolti intorno ai loro televisori. Il Festival di Sanremo e le sue canzonette sono qualcosa che deturpa irrimediabilmente una società. Quest’anno, poi, le cose sono andate ancora peggio del solito: perché c’è stata una contestazione, seppur appena accennata, al Festival. Ciò che si contesta sono infatti i prezzi dei biglietti per ascoltare quelle povere creature che cantano quelle povere idiozie: e si protesta moralisticamente contro il privilegio di chi può pagare il prezzo di quei biglietti. Non ci si rende conto che tutti i sessanta milioni di italiani, ormai, se potessero godere di questo famoso privilegio, pagherebbero il prezzo di quel biglietto e andrebbero ad assistere in carne e ossa allo spettacolo di Sanremo. Non è questione di essere in pochi a poter pagare quelle miserabili ventimila lire ma è questione che tutti, se potessero, pagherebbero. Tutti, operai, studenti, ricchi, poveri, industriali, braccianti..I centomila disgraziati che si tappano le orecchie e si coprono gli occhi davanti a questa matta bestialità, sono abitanti di un ghetto che si guardano allibiti fra loro, senza speranza. E i più non osano neanche parlarne: perché parlarne, sinceramente, fino in fondo, fino all’indignazione, è impopolare come niente altro. E’ per non rischiare questa impopolarità, che i contestatori sono in questo caso tanto discreti. Ma è un calcolo sbagliato, che li rende degni degli “innocenti” cantanti integrati e del loro pubblico.”.

(Pier Paolo Pasolini-Da “Il caos” su “Il Tempo”, n.7, 15 febbraio 1969).

Pensieri napoletani (2)

Intorno a Santa Chiara mille trattoriole. Hanno un uscio piccolissimo: una vetratella che dà su uno spazio capace a contenere una decina di tavoli da due. Su una parete lo sfogo per la cucina di mattonelle di Vietri, turchesi o verdi oppure variopinte. Alle pareti avete da scegliere: o Totò o Maradona, a volte Troisi. Si entra come si entrasse in una casa. Bambini che fanno chiasso in un angolo; la giovane madre li prende a male parole. Su tutto si alza il profumo crusco di mille cose. Qualche tovaglia porta un buco come se fosse un trofeo di guerra. I bicchieri sono spessi come non li fanno più.
Ad un angolo, come un monumento vestito, un elegante vecchio che appoggia le mani su un bastone da passeggio.
Ha i capelli tirati di brillantina, i baffi fatti stamane. Un completo grigio screzisato e un gilet nero. Si guarda attorno con uno sguardo che è un misto di sfottò ed interesse per quello che accade intorno. Dietro di lui una finestra aperta.
Ci sediamo. Un uomo sulla cinquantina, grasso, con un paio di baffi di carbone ci porta un cestino di pane. E’ pane pizza: morbido, profumato, con del sale grosso sparso sulla superficie. Solo questo vale la fermata. Fuori la gente è un fiume. Il Sole è un fiume.
Ad un punto si affaccia la cuoca. Donna bruna, con i capelli che sfuggono al copricapo bianco che cerca di trattenerli.
La voce è tagliente:
“Don Giuseppe. Chiudete quella finestra, che fa corrente!”
“Io la finestra non la chiudo! Stavo appunto godendo questa arietta fresca! Amabilissima! Non è vero signori?” e si volge a noi con lo sguardo di chi non s’aspetta che una risposta affermativa.
Noi annuiamo con la testa. Lo facciamo esclusivamente perché la cuoca non ci senta.
Ma la donna non è paga:
“Don Giuseppe chiudete la finestra o la chiudo io….” come se lasciasse intendere sfaceli.
“Ah… ho capito. Voi volete perdere un cliente…”
“Ohi che gran cliente che perderò! Hi che gran cliente!”
“Donna Nunzia voi mi state offendendo! Credevo di essere ospite gradito nel vostro locale. Ma vedo che voi fate di tutto per perdermi…”
Intanto arriva la pasta al ragù: festa di rosso carminio fumante. Un Inferno di goduriosa perdizione. Da fuori vengono canti, canzoni e cantanti. L’uomo del Karaoke sul balcone ha ripreso dopo la pausa pranzo. Cala la cesta e salgono monete.

E ‘a luna rossa me parla ‘e te
Io le domando si aspiette a me
E me risponne si ‘o vvuo’ sape’
Cca’ nun ce sta nisciuna

E io chiammo ‘o nomme pe’ te vede’
Ma tutt’a gente ca parla ‘e te
Risponne è tarde che vvuo’ sape
Cca’ nun ce sta nisciuna”

San Biagio dei librai (Napoli) @crphoto64