Ieri il temporale roteava sul paese come un manto scuro le cui estremità erano sfilacciate. Roteava e rombava senza piovere. Questo perdurare di qualche minuto ci diede la certezza che dovesse restare là, immobile per chissà quanto tempo. Chi aveva appena interrotto il lavoro in giardino lo aveva baldanzosamente ripreso, certo dell’immobilità del cielo. Chi si era fermato dal lavoro in cantiere perché aveva solo inizialmente temuto la pioggia, aveva ripreso di gran lena a tagliare, battere e segare.

Tuttavia il paese sulla collina dirimpetto era nel frattempo svanito in una patina grigia. Si era alzato un vento odoroso di terra e il colore di tutte le cose cominciava a tendere al rosso arancio. La gente non sembrò preoccupata nemmeno quando le folate divennero improvvise e potenti.

Ecco che se ne va!” Pensavano.

Poi vennero le gocce: isolate e pesanti come piccole sberle. Alzavano polvere intorno all’impatto con il suolo. Fu un attimo. La pioggia, torrenziale, colse tutti sprovveduti in mezzo alla strada, tormentando i teneri boccioli e le foglie delicate del glicine. Come tremule formiche tutti corsero a destra e a manca a cercare riparo. Avevano la faccia scocciata. Chissà quale grande impegno aveva interrotto quell’acquazzone! E così fu che ancora una volta le certezze dell’uomo venivano spazzate via giù per i caditoi e nei tombini. Come siamo piccoli! Come siamo stupidì! Tutte le nostre certezze, tutti i nostri dogmi; la stoltezza di credere dí dominare il mondo e la natura!

Così tornai a casa mezz’ora dopo fradicio, camminando accosto ai muri, pavida formichina anche io, che avevo guardato al cielo ed esclamato: “Ma quando mai! Non piove!

Sandro Amici

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