I miei vecchi erano qui, senza un preciso sguardo.
Come cuccioli di cane avevano un’aria riconoscente. Uno spicchio di mondo era offerto loro; un briciolo di respiro. Mio padre ha guardato con ammirazione il nocciolo in giardino come si guarda ad un prodigio, con i suoi soliti occhi fatti d’acqua. Mia madre era la sua eco corporea; ma senza alcuna reazione precisa. Le sono rimaste intatte solo le battute agre. Per il resto è un involucro immoto che tende a riempirsi di cibo disordinato. Sempre incline alla malinconia; ora triste a sé stessa.
L’unico momento in cui un vero sorriso li ha illuminati è stato quando il bambino è stato avvicinato al loro viso. Un bambino quasi appena nato e due bambini di ritorno si sono incontrati sulla stessa strada. Una strada di nulla e di tutto. Entrambe (il piccolo e loro) vedono sbiadito e sentono poco. La consolazione dell’uno e degli altri è il cibo; il sentire qualcosa passare dal palato alla gola. In quella frazione di attimo dimenticano tutto e pensano: siamo vivi.
Tanta stanchezza mascherata da convivialità. La verità è che non vogliamo ammettere che non ce la fanno più. Hanno dato tutto; a tutti. Non hanno ricevuto nulla.
Hanno solo me, questo pigro attendente; che sbriga le loro faccende burocratiche e li accompagna in eterni ambulatori bianchi, cercando di capire cosa dicono spocchiosi uomini bianchi, passando notti in bianco e mangiando pasta in bianco, quando mi assale la colite.