Ecantalacicala

E canta la cicala
e onde e onde
piogge fitte e finite in fretta
le gettano giù dai rami secchi.
Quando canta la cicala il mondo ferma.
Si ferma il vento e pure la frescura
davanti al bivio si blocca il pavido,
ha paura
si fermano le macchine senza spiegazione
e restano aperti gli usci di una spanna.
Eppur non passa un refolo di vento
mentre lontano il mare è sempre blu
è sempre blu e sempre di più.

Photo by Francesco Ungaro on Pexels.com

Le qualità dell’estate

Quali sono le qualità dell’estate?
Ditemene una sola. Corpi che secernono. Non fanno in tempo a rinfrescarsi che subito ricominciano a gettar fuori miasmi e vapori, puzza, afrori cavallini.
Stamattina, dopo una notte da “fettina panata”, trascorsa a girarmi nel letto senza peraltro trovare requie, mi sono alzato con una narice, una sola, che letteralmente gocciolava vapore.
Ho dato uno sguardo fuori: non una foglia mossa, non una speranza di vento. E così, già dal mattino alle otto cominci a sentire una fame d’aria, una leggerezza di testa che rende tutto più complesso, faticoso, affannato.
Quali sono le qualità dell’estate? Vi prego, annunciatemene una. Vi giuro che ne sarei felice. Una sola qualità che sia appena sufficiente ad addolcire questa rovente e piccante aria di vetro.
Mi dicono di serate trascorse al riparo di un tetto di paglia, in ascolto del rumorio del mare. E le zanzare? Infami zanzare affamate ed invisibili, come la dannazione, che s’alzano da ogni dove e colpiscono dove gli pare…
Mi raccontano di tramonti marini, l’orizzonte piatto e liscio del pelago aperto, infinito. E l’umidità che s’alza dalla sabbia come da una pentola il cui coperchio vien tenuto chiuso? E la sabbia stessa? Che trattiene il bollore del giorno appena trascorso.
L’estate del rivolo di sudore al centro della schiena, del ventilatore che smuove aria rovente, dell’acqua che non appaga, delle piante da fiore che rivolgono la loro corolla a terra, cercando di trovare pace…
Dunque, quali sono le qualità dell’estate?

Vintage sunset sea background, painting by Banyong Wattanapayungkul is licensed under CC-CC0 1.0

Dov’è l’estate

L’estate è sparsa ovunque
come pula
sabbiosa e ferma dietro i sassi,
lungo ruggenti spume di scogliera
nella stasi e nel movimento
sta l’estate
ormai in ogni cosa.


Nella notte appena smossa
sta l’estate
nelle ricordi che vagano
e nelle pance delle barche in secca
dietro le quali si baciano gli amanti.

Lunga, animosa estate
senza più confini
dilagante, volgare, esagerata
rossa e poi fucsia e di colpo nera
sudata tra le cosce
e nei rivoli del seno

Attesa e infine giunta
che atterrisce.

Le otto montagne

Tra noi e gli scrittori veri c’è una inequivocabile differenza: sanno descrivere tempi che non conoscono; vaticinare futuri e cogliere prima del tempo l’essenza del mondo che verrà.
Quello è genio, predisposizione, sensibilità, vita, sofferenza, gioia ed esperienza. Quel qualcosa in più che li rende “geni” mentre noi e gli scrittori attuali non siamo che narratori di storie banali, quasi sempre tragicomiche od oltraggiose; quell’oltraggioso volgare e sanguinolento che tanto vende.
Solo ultimamente mi sono imbattuto in un racconto che mi ha come riacceso una speranza. La speranza di una narrativa sana; dove i paesaggi sono descritti con la dovizia dell’amore e i rapporti umani sono semplici, schietti e trasparenti come sorgive di montagna. I dialoghi non sono né ridondanti né riduttivi e la trama scorre senza essere superficiale.

Un buon romanzo quello di Cognitti, “Le otto montagne”. Si sente la sofferenza, la fatica e la soddisfazione. Quel mettersi a letto con ogni osso dolorante e dormire per stanchezza di cui parlavano i nostri avi. Anche la sofferenza di rapporti irrisolti che poi la neve schiarisce.
La città è distante. La fretta e la frenesia qui vengono dimenticate.
Questo romanzo è una cura.
Bravo.

Photo by Martin u010casnocha on Pexels.com

Ombre di luglio

Pomeriggi di ombre profonde. Pomeriggi di luglio in cui il falso gelsomino faceva festa di profumo. Desideravo una ragazza accanto. La desideravo profondamente e così spiavo le cosce brune delle zie che riposavano nei loro letti, al sibilo lontano della gente in spiaggia, cercando un vento che non si trovava nemmeno negli angoli dove la nonna, scalza, cercava requie.
E poi, dopo averle osservate a lungo, affusolate e curve, baciate qua e là da una sferza di luce, presto correvo in bagno, colto da una prepotente voglia. La voglia dei quindici anni.

Se fossi stato minimamente consapevole che quel tempo non sarebbe più venuto lo avrei trascorso cercando trastulli che aborrivo. Ma ero casto: casto come un preticciolo timido e timorato. E così ho perso molta vita, appresso a cose che non avevano peso.


Le cosce, i fianchi, quelle hanno un peso. Il peso si sentirsi addosso il respiro di una femmina, il suo calore e i suoi umori e tutta la trascinante passione di farlo senza risparmio e senza tirchieria. Con la foga di quegli anni e il turgore della passione.

Ora ne ho la consapevolezza, ma non ho più la baldanza. E’ così la vita. Quando passa il treno o lo prendi o lo perdi, continuando a camminare a testa bassa nella campagna, cercando la tregua di un’ombra profonda; un’ombra di luglio, senza più la tumidezza di una caviglia che ti eccita a morte.

Photo by Yigithan Bal on Pexels.com

Minimo

Le parole sono ridotte al minimo

Ma non perché non c’è parola

È perché non c’è passione.

Non c’è vento in ciò che si dice

Non c’è convincimento in quello che si sente né tormento per quel che non abbiamo

E così, costretti a contare cosa ci rimane, fuggono i giorni e, per quanto bella sia la sabbia, sempre e comunque fugge via dalle mani incolpevoli.

Poche cose

Di poche cose è fatta la vita. Se le togli il sogno sarà un trascinarsi scialbo, pallido come una collina levigata dal troppo vento. Se le togli un ideale tutti faranno le stesse utili cose. Balleranno quando è il caso, fotteranno tutti i sabato e una volta l’anno faranno la medesima crociera. Togli il sogno e toglierai la vita.

Un Canto

Facciamo partire i canti
dalle facciate grigie dei palazzi
lasciamo che scendano giù in strada
ad irrorare Estate
di fresco incancellabile.

Canti cantati assieme
ad una voce
come da bimbi, saltellando
ed agitando in alto i palmi delle mani

Sì che basterebbe, per iniziare un cenno
facciamo che siano i bambini a dare il LA
iniziando con una canzonetta
e poi un altro e un altro ancora, in un concerto.

Che arrivi il suono dai palazzi alti,
scenda come torrente sui bassi condomini
e si perda in strada come rivolo.

Cantiamo tutti insieme una canzone
che ci renda TUTTI per un attimo
scendiamo giù dal pulpito
saliamo dalla fossa della solitudine.

Roma – Balduina

Monte Cavo

Salendo, sopra sterrati rotti da andate e ritorni di formiche
si cantava la canzone che scaccia la pioggia.
Ogni tanto un’ombra che fuggiva,
un fruscio di serpe

una creatura di pietra e carne che faceva capolino là, nel fitto.

Oh quant’è lontano questo cuore ormai
dagli aghi di pino a gran distesa
e dalla resina dispersa tra le fronde
dal pizzicore dell’erba gialla e scura
dagli accordi sempre uguali di chitarra

Siamo qui, siamo vivi, siamo noi!
E l’illusione di esser soli al mondo
di fronte all’orizzonte fatto azzurro
dalla maestosa irrealtà del mare.

Photo by Catalin Buescu on Pexels.com