Wendell Berry

La pace delle cose selvatiche

Quando mi sale la disperazione del mondo
e mi sveglio di notte al minimo rumore
per paura di come sarà la vita mia e dei miei figli,
vado a sdraiarmi dove il germano silvestre
si posa splendido sull’acqua e il grande airone mangia.
Entro nella pace delle cose selvatiche
che non si affliggono la vita con presagi
di dolore. Entro al cospetto dell’acqua calma.
E sento sopra di me le stelle cieche di giorno
in attesa con la loro luce. Per un po’
riposo nella grazia del mondo e sono libero.

Mio Poeta

Una poesia che mi ha toccato l’anima. Di @almerighi

scrivo perché non hai mai donato perle ai porci e sei rimasto piccolo, la tua è una gran scelta, dei piccoli è il cielo. L’Onda ci ha fatti prigionieri, l’estate va seccando i mandarini. . Cosa faccio? Le solite cose tra indelebili momenti di noia, qualche lavoro in casa, sempre stupito dalla gran copia di […]

Mio Poeta

Qualcuno che ci salvi

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Un uomo davanti ad una distesa di terra e sterpaglie si sente solo. Sotto il Sole che batte impietoso, inspirando quell’odore di seccume non ha appigli, né consolazione.
Indossa solo un paio di pantaloni leggeri; alla vita porta intrecciata quella che fu una camicia. Nel solco della schiena sente scivolare l’insidioso, primo e minuscolo rivolo di sudore. Alza in alto il braccio destro imbracciando la lunga falce. Aspetta che ricada per gravità. Un nugolo di polveri e terra si alza davanti alla sua faccia.
La prima onda di una risacca quasi infinita, che durerà ore, fino a che le braccia saranno di sasso, la schiena un ciocco messo al fuoco, le gambe dolenti fino a voler urlare.
La seconda stoccata serve a dire “sì, ce la faccio”. Davanti all’uomo un paio di metri quadri di terra scoperta, con solo qualche sterpo superstite. A sera tutto il campo sembrerà una Luna coperta di pula e polline. Anche il suo corpo fuligginoso, tenuto insieme da quella mistura di sudore e polvere, apparirà più netto, distinto in mezzo a quel nulla in cui troneggia un solo enorme albero di quercia.

A che serve tutto questo?
A che serve tornare a casa senza più forze? Gettarsi sul letto sentendo il peso di ogni minimo osso? Pensa: ci sarà un tempo in cui sarai perfettamente inutile.
Una macchina passerà in questo campo e con un paio di andate e ritorni avrà finito il lavoro.
Tutto si trasforma. Tutto si distrugge. Si distrugge in nome di qualcosa di ancor più nuovo, rendendo inutile quello che ieri era indispensabile.
E si andrà avanti uccidendo tutto quello che c’era prima; ricordandolo con dolce tristezza.
Molte cose resteranno in un angolo. Cose che impegnarono per ore qualcuno ora non servono più, sono scomode: fanno ridere.
E’ il mondo delle cose, che si porta appresso anche il mondo degli uomini.
Mio nonno diceva “Bah… hanno inventato questa diavoleria ma, per quanto moderna avrà sempre bisogno di un uomo che la faccia funzionare…”
No. Non è più quel tempo.
Cosa può salvare questi uomini?
Beh… posso dire che Olafur Arnalds può contribuire a salvarne qualcuno. Qualcuno che sappia sentire. Qualcuno che ancora “senta”

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Energumenia

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Molti di noi si trovano inevitabilmente fuori coordinata, in un posto che non era fatto per starci loro, dove regnano altre specie di uomini ben diverse da questi molti. Completamente storditi e sbandati si trovano a dover avere a che fare con i “managers”, con gli idraulici Dracula, con gli elettricisti squalo, con i primari orca e con tutta una serie di personaggi di infimo ordine, bestemmiatori per mancanza di padronanza della lingua; quelli che mettono il PORCO da tutte le parti.
Porco D non mi stampa il PC
Stasera devo andare alla Conad Porca M
Porco D ho sbagliato una routine di controllo dei Bugs di sistema”…
Oppure con i divertiti ad oltranza. Che devono ballare il “ballo di gruppo”alzando alternativamente la gambetta sinistra e il braccio destro e la gambetta destra e il braccio sinistro e infine battere le mani (due volte), che devono cantare al Karaoke, vestirsi in rosa se la circostanza lo richiede, mettere giacca e cravatta in occasioni particolari, che solo loro sanno. Assistere a discorsi senza un vero capo e una vera coda: come vedere un toro con due culi alle estremità. Discorsi tipo:
Quanto mi sono divertito l’altro ieri al Parco GonzoGonzo! Ci ho portato anche Davide che mi ha dettomamma! Dobbiamo tornare presto per vedere se il clown Beppe è ancora più grasso! -” e tutti intorno, mamme e colleghi maschi che si sperticano “Che tesoro… ma che dolcezza!
Discorsi tipo “Ma dici che Gobrovic ci va al Real? Si accontenta di 30 milioni l’anno esentasse? Ma quando mai… è abituato ad altre cifre…
O tipo
Renata l’hanno vista con Renzo
Scopano!
Boh…affari loro…
Ma sì… affari loro…
O tipo
Voi credete che la PANDEMIA sia passata… no signori! Ho notizia che si stia di nuovo diffondendo in Birmania tra i diavoletti…
I Diavoletti in che senso…
I Diavoletti della Birmania!
Ahhhh
Ahhhh
E quando accendono la televisione, questi che sono comunque ancora molti, si trovano a vedere la TV ON DEMAND. Trecento tipi diversi di programmi sulla cucina. MasterChef Angola, Australia, Borneo, Irlanda, cucine pazze dove cretini rubizzi vengono pagati centinaia di migliaia di Euro per incazzarsi come Babbuini davanti ad una carbonara…
Cose così. Vi rendete conto?

E Calvino? Buzzati? Kafka?
Ohhh mio nonno ha lasciato centinaia di questi libri sugli scaffali. Io ho chiamato Alfio il facchino. Ha mollato un paio di scoregge perché pesavano un botto, ma almeno li ha caricati nel Ducato e me ne ha liberato.

Calvino, Buzzati, Kafka…

Interminabili temporali

Lunghi
interminabili temporali
che disegnano di luce improvvisa
la linea di costa.

Soffi di vento che come sbattute di porta
svelano l’ira di un Dio, uno qualunque.
Cespugli che strappano grida alle raffiche tese
e matasse di polvere ch’era rappresa
in qualche angolo della memoria.

Cambia la stagione e cambio io,
teso e vilipeso
ma in un certo senso mai arreso,
che come sospinto vado avanti
e faccio e faccio senza niente fare.

E’ la triste canzone dello scontento
che come quel vento spiegato
non trova requie e là, dove si posa,
già non è più tempo di stare
e si rivà e rivà chissà dove
e chissà mai perché…

Early Morning After a Storm at Sea by Winslow Homer (American, 1836u20131910) is licensed under CC-CC0 1.0

Un cambiamento

Ci vorrebbe davvero un cambiamento. Radicale.
Ogni giorno questa strada, questa fermata, questo pullman, la stessa ora.
E il pullman che invariabilmente arriva in ritardo.
Ecco: solo il ritardo è sempre diverso. Un quarto d’ora, mezz’ora, dieci minuti.
E l’imperturbabilità del conducente l’hai vista? Puoi recitargli addosso un calendario di bestemmie ma la sua espressione non cambierà mai: un “Se ti incazzi peggiori solo le cose” che gli invidi, perché taluni personaggi, come i conducenti di pullman, hanno la calma olimpica di un santone indiano.
Però avviene sempre qualcosa se fai qualcosa.
D’improvviso, accompagnato dalla musica preferita nelle cuffie, puoi sentire il gelo della salita sotto il peso dello zaino. Gli scarponi che scrocchiano nella neve fresca, il mutare della vegetazione passando dalla alta valle alle morene sterminate di ciottoli e ghiaccio.
Puoi sentire la fatica del fiato che s’impenna, mentre l’ossigeno scende e ristorarti scoprendo nascere da una polla sotto una falda di ghiaccio, un ruscello che più in basso andrà ad abbeverare le vacche e le pecore.
Puoi sederti addirittura sul molo di un vecchio porto odoroso di pece e sagole e di pesce andato a male. Puoi chiacchierare con vecchi beoni dalla voce strascicata, pieni di sé e di aneddoti chissà se veri o inventati e talmente inverosimili da apparire reali.
Puoi vedere vecchie lanterne cigolare su stipiti malfermi che il vento forte dell’Oceano strapazza. Puoi veder chiaramente la groppa enorme di Giona scivolare come una fluida montagna a pochi metri dalla tua esile barca.
E puoi spiare il bacio tra due amanti. Segreto, vaporoso, denso di promesse. Lei indossa uno di quei cappellini tenuti da un nastro sotto al mento, il colletto di balze e ha la vita esile. Lui è un bruno giovanotto, un po’ rubizzo in volto, ma tanto determinato quanto timido. Quel bacio esitante viene da una interminabile attesa, da sguardi scambiati di nascosto, da sorrisi elargiti per far capire senza esibirsi completamente. Lusinghe, allontanamenti, riavvicinamenti bramosi ed affamati.
Poi arriva la tua fermata.
Chiudi il libro e guardi la signora davanti a te.

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L’unione

Quante cose sono state scritte sull’amore. La maggior parte delle volte sono state scritte basandosi sui soggetti sbagliati.
Fondamentalmente egoisti ed egocentrici gli uomini sono incapaci di amare. Possono provare sentimenti “circostanti”, come l’attrazione o l’infatuazione, finanche l’affetto. Ma l’amore quello inteso come identificazione totale l’uno nell’altro e bisogno strenuo di stare a fianco per tutta la vita ed anzi, ogni momento della vita, credo lo provino soltanto i cani e i gatti verso di noi. E si tratta di un amore ancora più libero, aperto e democratico. Perché non si amano tra di loro, ma riversano tutto il loro bene a noi, che a volte questo lo ignoriamo pure.
Sì, lo so. Adesso il mio discorso è “influenzato” dall’aver perduto un altro amico del percorso di vita. Un altro amico che ora se ne sta là sotto la pioggia e nel vento, a circa mezzo metro sotto terra. Ma alla luce dell’esperienza fatta in questi sessant’anni di vita credo che amore più grande, celeste e gioioso non esista.
Si deve a questo meraviglioso incontro che ci fu una volta, millenni fa, tutta questa malinconia e senso di perdita che abbiamo nel cuore quando questa unione viene a mancare.
Qualcuno pensa che la vicinanza di un cane e di un gatto sia dovuta alla necessità atavica che questi hanno mantenuto nei secoli di cercare un pasto e un rifugio sicuri.
Penso che costoro non abbiano mai provato non dico amore, ma nemmeno quel semplice ed elementare affetto che si prova tra umani, con le persone che quotidianamente ci sono accanto. Peccato per loro: hanno perso quella dolce nuvola luminosa costantemente accesa nell’anima anche quando tutto è finito. Quando si percepiscono persino i rumori delle loro zampe sul pavimento di casa, come fossero dolci fantasmi dispettosi dal fiato corto e leggermente puzzolente.

Percezione senza contatto – @crphoto64

Elogio della solitudine

Ieri passeggiando nella folla di una manifestazione paesana mi sono reso conto di essere estraneo a tutta quella gente e ancora di più, estraneo alle persone che erano con me e che conosco e che mi conoscono. A parte che occorrerebbe capire bene cosa significa “conoscersi”.
La maggior parte delle volte si tratta di una frequentazione banale che si basa sullo scambio di opinioni da piazza di paese e dove solo uno dei due soggetti parla mentre l’altro supinamente ascolta, intervallando dei “sì certo” a dei “Beh, è chiaro”.
La conoscenza al massimo può arrivare a sé stessi. Perlomeno la consapevolezza di sé, che è già tanto difficile da raggiungere. Se fossimo perfettamente coscienti di noi sapremmo che l’esistenza, la morte, il dolore alla fine non sono che percorsi che uno si trova a percorrere da solo.
Dovrei affrontare uno studio sociologico che non sono minimamente in grado di sostenere, ma il gruppo “umano” è nato per scopi di difesa e perché in tanti era più facile andare a caccia e procacciarsi prede. Ora non è più necessaria questa “unione in gruppo”. Altrimenti non staremmo tutto il giorno davanti al nostro smartphone ignorando tutto ciò che è esterno al nostro microcosmo.
Soli si sta benissimo. Non vi fate incantare da quelli che sostengono “l’unione delle anime”, la “comunione dello spirito”.
O sono wedding planners o sono preti.

Isola d’Elba (2017) @crphoto64